Escape routes, Michael Gaismair, 1525/26
Escape routes, Michael Gaismair, 1525/26
Michael Gaismair, geb. 1490 in Tschöfs bei Sterzing, wird vom Reformer zum Revolutionär gegen die Tiroler weltlichen und geistlichen Obrigkeiten.
Er muss im Oktober 1525 fliehen, zunächst über Bozen, Meran, Glurns und den Ofenpass nach Fideris in Graubünden/Schweiz. Nach der Rückkehr nach Sterzing muss er erneut weichen: mit Getreuen über das Pfitscherjoch ins Zillertal, dann über den Gerlospass und bis Radstadt im Salzburgischen, dessen Belagerung er aber am 2. Juli 1526 abbrechen muss.
Retour will Gaismair und sein Heer von rund 2.000 Mann wieder im tirolischen Pustertal einfallen: Es geht über das Hochtor, am Großglockner-Pasterze-Gletscher vorbei nach Heiligenblut ins Kärntnerische Mölltal, ehe man via Lienz, Burg Heinfels und Bruneck bis Burg Rodenegg kommt. Der Druck wird zu groß, Gaismair macht sich mit den letzten circa
1.000 Kampfgenossen auf nach Süden: über das Würzjoch, Campill, Burg Andraz ins Cordevoletal – da ist man bereits auf schützendem Gebiet der Republik Venedig. Gaismair wohnt in Montegrotto (Villa Draghi), am 15. April 1532 wird er in Padua ermordet.
Escape routes, Michael Gaismair, 1525/26
Escape routes, 20th and 21st century
Die Fluchtwege des Michael G.
Über die Berge – der Freiheit wegen
1525/26 bis zur Gegenwart
Nagorno-Karabakh 2023
Armeni in fuga con tutti i loro averi dal Nagorno-Karabakh dopo l’offensiva militare azera – qui si trovano vicino a Kornidzor/Armenia, il 29 settembre 2023.
(Fotografo: Anatoly Maltsev; EPA Images – European Pressphoto Agency)
Il conflitto per il Nagorno-Karabakh (4.400 km2), abitato prevalentemente da armeni ma ubicato nell’ex Repubblica sovietica dell’Azerbaigian, è in corso già da lungo tempo. Gli armeni lottano per l’autodeterminazione nazionale mentre l’Azerbaigian ne vuole l’annessione al proprio territorio. Dopo numerose guerre susseguitesi dal 1988 in poi, con esiti diversi e decine di migliaia di vittime da entrambe le parti, nel 2020 l’esercito azero del presidente Ilham Aliyev riesce a occupare un terzo del territorio. Nelle giornate del 19 e del 20 settembre 2023 l’Azerbaigian riconquista, infine, l’intero territorio del Nagorno-Karabakh. Quasi tutta la popolazione armena residente, circa 120.000 persone, è costretta all’esodo e a fuggire attraversando la regione montuosa del corridoio di Lachin, l’unico collegamento tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia. Seguono poi i primi passi per il reinsediamento degli azeri sfollati negli anni novanta. Il conflitto, secondo il presidente Aliyev, è ormai giunto al termine…
Bambini armeni profughi del Nagorno-Karabakh, con le loro poche cose, durante una sosta a Goris/Armenia, la località più grande dopo il corridoio di Lachin, 28 settembre 2023
(Fotografo: Anthony Pizzoferrato; picture alliance/Middle East Images)
Profughi armeni salgono su un autobus a Stepanakert, capitale del Nagorno-Karabakh, 20 settembre 2023
(Fotografo: sconosciuto; Ministero della difesa russo, Wikimedia Commons, CC 4.0)
Donne e uomini armeni dopo la loro fuga dal Nagorno-Karabakh, 21 settembre 2023
(Fotografo: sconosciuto; Ministero della difesa russo, Wikimedia Commons, CC 4.0)
Il genocidio degli yazidi, Sinjar, Iraq 2014
Il ponte Fishkabour sul fiume Tigri, il 10 agosto 2014
(Fotografo: Khalid Mohammed; AP/picturedesk.com)
Nell’agosto del 2014, la minoranza yazida viene costretta dallo Stato islamico (IS) a fuggire sulla catena montuosa Jebel Sinjar. Dopo gli attacchi aerei statunitensi alle posizioni dell’IS, diverse migliaia di persone attraversano il ponte Fishkabour sul fiume Tigri per raggiungere i pressi della città di Sinjar nel nord dell’Iraq e dirigersi oltre confine per arrivare nella Siria nord-orientale. Secondo i dati delle Nazioni Unite, l’IS ha brutalmente ucciso da 5.000 a 10.000 yazidi. Più di 7.000 tra donne e bambini yazidi, soprattutto ragazze, vengono rapiti. I bambini diventano combattenti, le donne schiave sessuali, stuprate e torturate. Nel 2016, la comunità internazionale riconosce i crimini di guerra perpetrati contro gli yazidi come genocidio. Fino alla metà del 2019 nella zona di Sinjar sono state rinvenute 70 fosse comuni ma si sospetta che nella regione ve ne siano circa 200. In totale sono più di 400.000 gli yazidi che sono stati costretti a fuggire dalla loro terra natale. Molti di loro vivono ancora oggi nei campi profughi nel nord dell’Iraq, dove mancano acqua, elettricità, scuole, ospedali e lavoro.
I profughi yazidi vengono ospitati in un campo di nuova costruzione, 15 agosto 2014
(Fotografo: Khalid Mohammed; AP/picturedesk.com)
Yazidi manifestano davanti alla Casa Bianca a Washington D.C., USA, 7 agosto 2014
(Fotografa: Kaitlynn Hendricks; www.flickr.com/people/126516690@N08 – CC 2.0)
Due peluche appesi a una staccionata, davanti a una fossa comune di vittime yazide nei pressi della catena montuosa Jebel Sinjar, 15 dicembre 2016
(Fotografo: Benno Schwinghammer; AP/picturedesk.com)
Jan Baalsrud, Le Alpi di Lyngen, 1943
Il monte Jiehkkevárri (1.833 m), sul cui versante orientale Jan Baalsrud fu sepolto fino al collo da una valanga, e la località di Lyngsdalen, fotografia del 2011.
(Fotografo: Simo Räsänen; Wikimedia Commons, CC BY 3.0)
Dopo l’occupazione della Norvegia da parte della Wehrmacht tedesca nell’aprile del 1940, iniziano a manifestarsi i primi segni di resistenza. Nella primavera del 1943 Jan Baalsrud (1917-1988) è protagonista di un’esperienza ai limiti dell’incredibile. La nave di Baalsrud, addestrato come combattente dai britannici, viene affondata dai tedeschi con tutto il suo carico di armi ed esplosivo nel Toftefjord, nella Norvegia settentrionale. Unico sopravvissuto, Baalsrud raggiunge la riva a nuoto e scappa verso sud-est attraverso la catena innevata delle Alpi di Lyngen. Durante la fuga viene travolto da una valanga, sopravvive a una tempesta di neve, subisce gravi congelamenti, perde temporaneamente la vista per via della neve e patisce la fame più estrema. Nel corso delle nove settimane di fuga, viene soccorso dalla popolazione del posto. Per mezzo di una slitta viene infine portato oltre il confine, in Svezia. Dopo una lunga convalescenza, passando per la Scozia, torna in Norvegia come agente operativo, dove rimane fino alla fine della guerra. La storia della sua fuga leggendaria ispirerà due produzioni cinematografiche: nel 1957 il film dal titolo “Nove vite” (“Ni liv”) e nel 2017 il film “Caccia al 12° uomo”.
Jan Baalsrud, attorno al 1942
(Fotografo: sconosciuto; nordligefolk.no)
Locandina del film “Ni liv” (“Nove vite”), 1957
(www.cinemaclock.com)
Locandina del film “Caccia al 12° uomo”, 2017
(www.movieinsider.com)
Museo Baalsrud di Furuflaten, dove gli abitanti aiutarono l’allora combattente per la resistenza, fotografia del 2021
(Fotografo: sconosciuto; Stiftelsen Jan Baalsrud)
Tina e Hasti, Kurdistan, Iran, 2022
Regione montuosa tra Iran e Iraq nei pressi del valico di frontiera di Bashmaq, 2022
(Fotografa: Alice Martins)
Dopo la deposizione dello scià Reza Pahlavi e l’istituzione della Repubblica islamica in Iran sotto la guida del leader religioso Ayatollah Khomeyni nel 1979, si svolgono le prime controdimostrazioni che vengono represse così come le manifestazioni di protesta successive. Migliaia di oppositori politici vengono giustiziati, la resistenza è brutalmente soffocata e un numero incalcolabile di persone è costretto all’esilio, spesso passando attraverso le montagne del Kurdistan nel nord dell’Iraq. È il caso anche delle due amiche Tina e Hasti, fuggite nel 2022, di cui scrive Christoph Reuter sulle pagine dello “Spiegel”. A fotografarle è Alice Martins, il senso dell’immagine racchiuso in una frase di Hasti: “in quanto donna, non sei niente in Iran”. Nel corso di una dimostrazione, un ragazzo che le sta accanto viene ucciso e “è stato allora che ho capito: dovevo sparire!” Camminano per quattordici ore nel buio, lungo pareti rocciose in modo che il fascio di luce della loro torcia non le tradisca. Gli stessi contrabbandieri raccontano che le cosiddette “guardie rivoluzionarie” sono solite sorvegliare le montagne di confine e sparare senza alcun preavviso.
Le amiche iraniane Tina (a destra) e Hasti (a sinistra) nel campo nel nord-est dell’Iraq, 2022
Strada di montagna nei pressi del campo profughi nel nord-est dell’Iraq, 2022
Il valico di frontiera di Bashmaq in Kurdistan/Iran, 2022
(Fotografa di tutte le immagini: Alice Martins)
Yangdol e Kelsang, Tibet 1995
A circa 30 gradi sottozero, sul ghiacciaio Gyabrag con le sue bizzarre formazioni di ghiaccio
(Fotografo: Manuel Bauer; Agenzia Focus)
Nel 1950 la Cina comunista guidata da Mao Tse-tung occupa il Tibet. Nove anni dopo, il Dalai Lama, la guida terrena, fugge in esilio nell’India settentrionale. Negli anni successivi, decine di migliaia di tibetani e tibetane lo raggiungono attraverso i passi himalayani che conducono a sud. Nei mesi di marzo e aprile del 1995, il fotografo svizzero Manuel Bauer ha accompagnato la piccola Yangdol, di sei anni, e suo padre Kelsang nella loro fuga faticosa e molto rischiosa, durata ventidue giorni. Partiti da Lhasa in Tibet, hanno attraversato il passo Nangpa La, a 5.716 metri, a ovest del Cho Oyu (8.188 m), per passare per il Nepal e raggiungere poi la comunità tibetana in esilio e il Dalai Lama a Dharamsala in India. Nel 2009 è stato pubblicato il libro fotografico di Bauer dal titolo “Flucht aus Tibet” (“Fuga dal Tibet”), edito per la prima volta come reportage nel luglio 1995. Le immagini intense e toccanti raccontano le immense fatiche e i pericoli affrontati da tutti colori che hanno osato intraprendere questa fuga attraverso le montagne e rendono omaggio a quanti non ce l’hanno fatta.
Un camion dà un passaggio a Yangdol e Kelsang lungo il loro percorso verso l’Himalaya. In compagnia del fotografo Manuel Bauer fingono di essere in pellegrinaggio…
Si prosegue a piedi attraversando un fiume ghiacciato e le infinite distese di pietra e ghiaccio dell’Himalaya.
Il nono giorno di fuga compiono la traversata dei grandi nevai lungo il ghiacciaio Kyetrak, sullo sfondo il Cho Oyu (8.188 m).
Il giorno successivo raggiungono il Nangpa La (5.716 m) che segna il confine tra il Tibet e il Nepal. La fatica è estenuante. La quota elevata, il vento gelido e il continuo sprofondare nella neve li mettono a dura prova: chi si accascia sfinito sulla neve dà l’impressione di essere morto.
Finalmente si scorge Namche. Il villaggio nella regione nepalese del Khumbu è la porta d’accesso all’alto Himalaya e punto di partenza per le spedizioni verso il Monte Everest.
Da Namche in elicottero fino a Katmandu e poi tre giorni e tre notti di viaggio con un autobus per profughi attraverso il confine fino in India e a Nuova Delhi. Infine, dopo tredici ore di autobus nella notte fino a Dharamsala, raggiungono Sua Santità il Dalai Lama che accoglie i profughi dal Tibet – tra cui anche la piccola Yangdol.
(Fotografo di tutte le fotografie: Manuel Bauer; Agenzia Focus)
Jürgen Cyrulik, Il massiccio montuoso di Strandza in Bulgaria, 1988
I monti di Strandza nel sud-est della Bulgaria, nella Provincia di Burgas, fotografia del 2019
(Fotografo: Ondrej Zvácek; Wikimedia Commons, CC BY 3.0)
Negli anni ottanta, durante la Guerra Fredda tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, i cittadini della Repubblica Democratica Tedesca tentano la fuga dalla dittatura comunista passando spesso anche attraverso la Bulgaria. Fino al 1989, circa 2.000 persone, da sole o in piccoli gruppi, scelgono questa via di fuga. Ufficialmente trascorrono le vacanze sul Mar Nero, come migliaia di altri turisti, in realtà vogliono raggiungere segretamente la Turchia europea attraverso le vicine montagne di Strandza nel sud-est della Bulgaria. Circa 500 persone riescono ad attraversare il confine illegalmente, mentre altre vengono arrestate, consegnate al Ministero per la Sicurezza di Stato della DDR (la Stasi) e alcune persino fucilate. La giornalista Rayna Breuer si occupa da anni di questa particolare via di fuga: tra le tante, è toccante la storia di Jürgen Cyrulik, che nel settembre del 1988 compie questo tentativo di fuga ma fallisce. Trent’anni dopo incontra di nuovo Stoyan Todorov, il poliziotto di frontiera che lo aveva arrestato all’epoca.
Cartolina inviata dal Mar Nero bulgaro alla DDR, 1973: “Sole magnifico, 27 gradi e niente meduse”.
(Fotografo: sconosciuto; Archivio Martin Kofler)
Sulla “Spiaggia del sole” (“Slantchev Briag”), a nord di Burgas/Bulgaria, 1977
(Fotografo: sconosciuto; Archivio Martin Kofler)
Stanka Papazova grew up in this region and vividly recalls the time before 1989, when the Bulgarian border installations were still in operation; photo taken in 2019
(Photographer: Rayna Breuer)
Ciò che rimane del confine bulgaro/turco, 2019
(Fotografa: Rayna Breuer)
Documentario di Rayna Breuer “The GDR defector and the Bulgarian border guard”, Deutsche Welle, 2019, www.dw.com und www.youtube.com
Wilhelm Hoegner, Monti del Karwendel, 1933
La cima Wörner nei monti del Karwendel, 22 giugno 2020
(Fotografo: Thorsten Darmstadt; Wikimedia Commons, CC BY 4.0)
Dopo la nomina di Adolf Hitler a cancelliere del Reich tedesco avvenuta il 30 gennaio 1933 e l’immediata presa di potere da parte del NSDAP, fece seguito la messa al bando di tutti gli altri partiti. I loro rappresentanti, uomini e donne, furono rinchiusi nei campi di concentramento appena costruiti, torturati e uccisi. Alcuni di loro riuscirono a fuggire, come il socialdemocratico Wilhelm Hoegner (1887-1980), deputato del Reichstag di Berlino, il parlamento tedesco, dal 1930 al 1933. Insieme al giornalista Franz Blum, anch’egli socialdemocratico, e con la guida alpina Hans Fischer, partì da Mittenwald in Baviera. L’11 e il 12 luglio 1933, sotto un temporale attraversarono il massiccio del Karwendel nell’area di cima Tiefkarspitze e del monte Wörner (2.474 m), percorrendo sentieri di camosci, creste rocciose e nevai fino a raggiungere Scharnitz in Tirolo. Dall’hotel del partito socialdemocratico “Goldene Sonne” a Innsbruck, proseguirono poi verso la Svizzera. Al termine della seconda guerra mondiale, Hoegner ebbe un ruolo determinante nella ricostruzione politica; redasse la costituzione bavarese e fu presidente della Baviera dal 1945 al 1946 e dal 1954 al 1957.
Wilhelm Hoegner, 1925
(Fotografo sconosciuto; archivio: Archiv der sozialen Demokratie/Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn)
Wilhelm Hoegner, 1956
(Fotografo: J. H. Darchinger; archivio: Archiv der sozialen Demokratie/Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn)
Scharnitz in Tirolo/Austria, intorno al 1936
(Fotografo: Ottmar Zieher; Collezione Peter Unterweger – TAP)
L’hotel “Goldene Sonne” a Innsbruck, intorno al 1910
(Fotografo sconosciuto; Archivio Martin Kofler)
La tragedia dei cosacchi a Lienz, 1945
Cosacchi durante un’esercitazione nel fondovalle di Lienz, maggio 1945
(Fotografo: sconosciuto; Imperial War Museum, London)
Nella confusione che regna negli ultimi giorni di guerra, il 4 e il 5 maggio 1945 un grande convoglio armato di cosacchi provenienti da Tolmezzo attraversa il Passo di Monte Croce Carnico e il Gailberg per raggiungere la valle di Lienz. Circa 25.000 tra uomini, donne, bambini e diverse migliaia di cavalli si riversano nella piccola Lienz che a quel tempo conta appena 8.000 abitanti. I cosacchi, provenienti dall’Unione Sovietica meridionale e anticomunisti, si erano uniti agli invasori tedeschi della Wehrmacht e tra il 1943 e il 1945 erano stati impiegati nelle brutali lotte contro i partigiani nei Balcani e nell’Italia settentrionale. L’8 maggio, le truppe britanniche liberano Lienz, distrutta dai bombardamenti americani, e pongono fine al regime nazista nella regione. Ma il destino dei cosacchi era già stato stabilito dagli Alleati alla Conferenza di Yalta: gli ex cittadini sovietici sarebbero stati rimpatriati in URSS. Il primo giugno 1945, durante il primo brutale trasferimento forzato operato dalle truppe britanniche nella zona di Peggetz a Lienz, centinaia di cosacchi muoiono, alcuni in preda al panico, altri togliendosi la vita. Sono oltre 22.000 i cosacchi che vengono deportati con la forza in Unione Sovietica entro la metà di giugno.
A Nörsach nel Tirolo orientale, vicino al confine con la Carinzia, uno dei tanti lager in cui erano raccolti i cosacchi a fine maggio del 1945
(Fotografo: sconosciuto; Imperial War Museum, London)
Dipinto realistico realizzato da Sergey Korolkov, testimone dei fatti del primo giugno del 1945 a Peggetz presso Lienz, 1957, titolo “Betrayal of the Cossacks at Lienz” (tradimento nei confronti dei cosacchi a Lienz)
(Stampa nella collezione del Comune di Lienz, Archivio Museum Schloss Bruck –TAP)
Cimitero dei cosacchi a Peggetz presso Lienz, attorno al 1960
(Fotografo: Fracaro; Collezione del Comune di Lienz, Archivio Museum Schloss Bruck – TAP)
Quasi ogni anno, intorno al primo giugno, vengono celebrate messe commemorative presso il cimitero dei cosacchi a Lienz, fotografia del 1965
(Fotografo: sconosciuto; Collezione Soldatenkameradschaft Lienz, Tirolo orientale – TAP)
Profughi ebrei, Il Passo dei Tauri/Krimmler Tauern 1947
Vista dal Passo dei Tauri sulla Valle Aurina in Alto Adige, fotografia del 2009
(Fotografo: Fipsinger; Wikimedia Commons, public domain)
Molte donne e molti uomini ebrei, sopravvissuti al genocidio nazionalsocialista, all’olocausto, alle persecuzioni antisemite in Europa orientale, dopo il 1945 decisero di andarsene per sempre dall’Europa. E più di 250.000 scelsero di fuggire, attraversarono il Brennero e dall’Italia proseguirono verso la Palestina. Nella loro fuga trovarono sostegno nell’organizzazione segreta ebraica “Bricha” (che in ebraico significa “fuga”). Un’altra via di fuga partiva dai campi profughi nella zona di occupazione statunitense a Salisburgo e conduceva attraverso il Passo dei Tauri (2.634 m) verso l’Alto Adige, in Italia. Nell’estate del 1947 circa 5.000 persone percorsero questa via e proseguirono poi verso la Palestina (“Eretz Israel”). L’associazione “Alpine Peace Crossing” commemora questo esodo con un’escursione che ogni anno dal rifugio Krimmler Tauernhaus, valica il Passo dei Tauri e giunge fino a Casere in Alto Adige. Quest’anno la camminata si terrà il 28 e il 29 luglio e i posti sono tutti esauriti: https://alpinepeacecrossing.org/
Una sosta al rifugio Krimmler prima di rimettersi in cammino, estate 1947
Nell’estate del 1947 si procede in salita con un figlio piccolo e poco bagaglio…
Una pausa lungo il percorso, estate 1947
La salita dalla valle Krimml rappresenta un’impresa per i non esperti, estate 1947
(Autore di tutte le fotografie: sconosciuto; Alpine Peace Crossing)
Targa commemorativa sul Passo dei Tauri/Krimmler Tauern, fotografia del 2011
(Fotografa: Christina Nöbauer; Wikimedia Commons, CC BY 4.0)
Passo dei Tauri – con indicazione del Sentiero della pace (Alpine Peace Crossing), fotografia del 2016
(Fotografo: Whgler; Wikimedia Commons, CC BY 4.0)